05 Apr IMPOTENZA
Questo periodo di reclusione forzata ci confronta con diversi tipi di impotenza. In primis, siamo privati della nostra libertà: di muoverci, vederci, socializzare. Siamo obbligati ad apparecchiarci la caverna al meglio delle nostre possibilità, altrimenti rischiamo di impazzire. E già è difficile così.
Un tipo di impotenza sulla quale riflettevo stamattina mentre pedalavo come un matto sui rulli (roba da ciclisti)è quella relazionale per cui, se l’altro significativo non sta bene, o ha a che vedere con me, o devo fare qualcosa per farlo/a stare bene, altrimenti sto male anche io.
E’ un impotenza subdola strettamente connessa con l’onnipotenza. Nessuno di noi ha il potere/responsabilità di far stare l’altro in nessun modo, le sensazioni e le emozioni sono mie, non esiste che l’altro mi faccia stare in qualche modo.
In realtà questo ci viene dalla nostra storia di attaccamento, ovvero quel legame primario che si sviluppa all’inizio della vita.
HO LA RESPONSABILITA’ di far stare bene l’altro, altrimenti sono inadeguato e di conseguenza non amabile.
Noi maschi (ma è una cosa ben diffusa anche nel femminile) diciamo “dimmi quale é il problema così posso trovare la soluzione”.
Senza il problema ci sentiamo persi, perchè on vogliamo prendere in considerazione la possibilità di essere accanto all’altro, senza fare nulla. Nel fare includo anche il parlare, che è un azione.
E invece ciascuno di noi ha bisogno di fare i propri processi, nel senso che quello che questo momento sta evidenziando, sono delle emozioni altalenanti intense e “veloci”. Un pò come se il cuore battesse più forte non solo sotto sforzo, ma costantemente.
Quale può essere l’apprendimento?
* Allenarci a stare con gli umori e le emozioni dell’altro senza per forza prenderci la briga di “aggiustarle” o direzionarle altrove.
*Accorgerci che effetto fa a noi. Quando l’altro sta male, o è arrabbiato per gli affari suoi, io dove vado, cosa sento?
Non è l’altro che mi fa stare in un qualche modo, ma sono io che sento tristezza per esempio quando l’altro è triste.
Cosa mi racconta di me questa tristezza (o qualunque cosa senta)? A questo punto ci possiamo (forse) incontrare, ognuno con la propria emozione. Senza addossare all’altro nessuna responsabilità, o prendercene noi una che non è nostra.
Spero che sia chiaro quello che scrivo, se non lo fosse, chi legge, per favore, domandi. Buoni giorni.
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