EDONISMO

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EDONISMO

Il piacere è stato considerato da sempre il fine ultimo dell’esistenza umana, o uno dei fini ultimi.

Negli anni il concetto di edonismo si è evoluto (forse). Si è passati dagli anni ‘80, quando si doveva “bere la vita”, ai giorni nostri, quando l’obiettivo non è più provare piacere ma non provare dispiacere.

Può sembrare la stessa cosa, e non lo è. Da una parte c’è una ricerca attiva verso qualcosa di piacevole, dall’altra la ricerca di evitare il dispiacere a qualunque costo.

Ha a che vedere con la rapidità. Il piacere va costruito, coltivato, ci vuole pazienza, per evitare il dispiacere non costruisco nulla ma devo essere bravissimo a schivarlo quando si presenta. Si tratta quindi di azione versus re-azione. Molto diverso.

E’ come se non fosse possibile immaginare di fare il lutto a niente. Dobbiamo vivere più a lungo, avere di più, lavorare di più, e così via. Non c’è limite a nulla. Il limite è, di fatto, un lutto, nel senso che se io mi accorgo di non poter arrivare ad un certo livello, o ad ottenere un certo risultato, devo farne il lutto. Dove abbiamo imparato che non si può soffrire? Chi dice che non va bene fermarsi? Siamo tutti bulimici, hanno anche inventato il binge watching (una serie televisiva la cui stagione viene rilasciata tutta insieme anziché 1 episodio a settimana).

La nostra società sembra girare tutta intorno a questo non voler rinunciare a niente.

Ogni scelta comporta un lutto. Se scelgo A, dovrò lasciar andare B, e quindi fare il lutto di B.

La mia riflessione, lo confesso, è partita dalla fecondazione medicalmente assistita. Ho avuto difficoltà a trovare un punto di comodità per me. La questione è complessa e ha tante sfaccettature, la prima delle quali è che io sono un uomo e non posso sapere nulla di cosa voglia dire l’orologio biologico per una donna. La mia visione è quindi sicuramente parziale, la mia appunto.

Ho esperienza di pazienti la cui vita ruota per anni intorno a questo tentativo disperato di andare oltre la natura, o di aiutarla, per così dire.

Un’adozione, o lo scegliere di vivere con questa ferita, non è contemplato. La società stessa rimanda un immagine di donna (sopratutto) che a 40 anni DEVE avere procreato, costi quel che costi.

Io sono dell’avviso che una coppia non possa girare intorno all’esigere un figlio, credo che sia importante fare il lutto di quello che non può essere. Il numero di tentativi “giusti” per me io ce l’ho, non mi interessa in questa riflessione metterlo.

Il non fare il lutto vuol dire non confrontarsi col proprio limite (al plurale), vuol dire pensare di essere onnipotenti. Vale per la bocciatura dei figli, vale per un immagine che deve sempre essere all’altezza dei social, vale per un sé ideale che non ammette di essere scalfito.

E così si allevano narcisisti e anaffettivi, perché se non posso mai soffrire, dovrò compensare con altro. E allora no, non restiamo umani, ma andiamo a cercare cause all’esterno.

Mi sembra interessante notare come l’attitudine alla non-sofferenza porti per giri strani a dover cercare nell’altro-da-me la causa del mio male. Che è un tema di attualità scottante.

Ci stiamo veramente deumanizzando per non soffrire. Piacere e dispiacere sono parti normali dell’esistenza, in un andamento ondulatorio che caratterizza le emozioni, i cosiddetti alti e bassi. Azzerando i bassi, azzero tutto. Non posso decidere di sentire solo le emozioni positive.

E si, siamo diventati aridi, e cultori del proprio piccolo giardino, invidiosi, e sempre allerta. Una società sempre in guerra.

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Dott. Paolo Molino
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